L'amore per l'Eucarestia
fonte della nuova evangelizzazione
di Giovanni Covino
La casa editrice Leonardo da Vinci ha da poco pubblicato un volume che raccoglie alcuni documenti del cardinal Giuseppe Siri (1906-1989), arcivescovo metropolita di Genova dal 1946 al 1987. Si tratta di lettere al clero e ai fedeli, comunicati e decreti che vanno dal 1955 al 1972 e che riguardano la valorizzazione della vita liturgica e sacramentale della sua Diocesi. In particolare, gli interventi raccolti esortano i cristiani a partecipare con la massima consapevolezza possibile al Santo Sacrificio della Messa, mostrando così la centralità, per la vita interiore di ogni cristiano, del culto eucaristico. La Chiesa, infatti, si è sempre preoccupata di trovare nuovi mezzi per portare a tutti il prezioso dono della fede, nuove vie per testimoniare la luce di Cristo, Via Verità e Vita (cfr. Gv 14, 6). Tale ricerca, che scaturisce dal cuore stesso di Dio, presenta ovviamente delle costanti, poiché il variare di cose accidentali non vuol dire cambiamento di quelle sostanziali; si tratta di approfondimenti dell’identica verità che parla all’uomo di ogni tempo. Una di tali costanti è, e non poteva essere altrimenti, proprio l’amore per il Sacramento dell’Altare dove, afferma Siri, «la Maestà è identificata coll’amore di Dio e, se non cessano le esigenze della prima, che va adorata, non è preclusa la confidenza amica di chi riconosce la Maestà coll’amore»[1].
Tale dinamica, che vede l’intreccio di adorazione e confidenza, la troviamo senza dubbio nella vita dei santi. Leggendo le loro storie notiamo, infatti, che l’ardente desiderio missionario di portare a tutti Cristo è nato, cresciuto e rafforzato dinanzi al Tabernacolo, dinanzi a quel documento d’amore che Tommaso d’Aquino definiva il «sacramento della carità»[2] e che il piccolo san Domenico Savio considerava, giustamente, la sua più grande felicità qui in terra.
La definizione dell’Aquinate, poc’anzi riportata, è anche il titolo di un importante documento magisteriale: l’esortazione apostolica postsinodale di papa Benedetto XVI pubblicata nel 2007[3]. Il predecessore di Francesco ha posto, com’è noto, la sua attenzione proprio sull’Eucarestia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa; in particolare, al n. 84 leggiamo:
Nell’Ultima Cena Gesù affida ai suoi discepoli il Sacramento che attualizza il sacrificio da lui fatto di se stesso in obbedienza al Padre per la salvezza di tutti noi. Non possiamo accostarci alla Mensa eucaristica senza lasciarci trascinare nel movimento della missione che, prendendo avvio dal Cuore stesso di Dio, mira a raggiungere tutti gli uomini. Pertanto, è parte costitutiva della forma eucaristica dell’esistenza cristiana la tensione missionaria[4].
In questo passo, come in altri, Benedetto XVI mostra l’intimo legame che c’è tra l’annuncio della fede (la missione della Chiesa) e il sacramento dell’altare, ponendo, quindi, la radice del primo nel fertile terreno del mirabile dono che Gesù fa di se stesso all’umanità.
Il tesoro della fede che noi possediamo va donato anche agli altri, così com’è stato donato a noi, ma tale dinamica non deve mai ignorare un fatto fondamentale, vale a dire che essa prende avvio, come dice il papa, dal Cuore stesso di Dio: immagine bellissima che richiama (anche se in maniera imperfetta) quella delle grandi acque di un fiume che, sgorgate dalle alti sorgenti della montagna, scorrono fino alle valli, dissetando e portando refrigerio. Per continuare la metafora, possiamo dire che, come le acque del fiume non possono vivere senza la sorgente e portare refrigerio, così il cristiano non può testimoniare la propria fede staccando la sua tensione missionaria dalla contemplazione della sorgente di Grazia da cui proviene, il Cuore di Cristo stesso, dalla contemplazione del suo infinito amore. È per amore che Egli ha assunto la nostra natura umana, per amore ha posto la sua dimora tra noi (il verbo greco skenoo significa letteralmente “piantare la tenda”, cfr. Gv 1,14), per amore ha lavorato, per amore ci ha illuminato con la sua dottrina, per amore ha sanato le nostre ferite: è l’amore a ogni Suo passo, sino al sacrificio della croce (cfr., fra i tanti documenti della Chiesa, Benedetto XVI, Deus caritas est), per poi mostrare tale amore nell’Eucarestia.
In essa «si rivela il disegno di amore che guida tutta la storia della salvezza (cfr. Ef 1,10; 3,8-11). In essa il Deus Trinitas, che in se stesso è amore (cfr. 1 Gv 4,7-8), si coinvolge pienamente con la nostra condizione umana. Nel pane e nel vino, sotto le cui apparenze Cristo si dona a noi nella cena pasquale (cfr. Lc 22, 14-20; 1 Cor 11,23-26), è l’intera vita divina che ci raggiunge e si partecipa a noi nella forma del Sacramento»[5]; sicché «quanto più nel cuore del popolo cristiano sarà vivo l’amore per l’Eucarestia, tanto più gli sarà chiaro il compito della missione: portare Cristo»[6].
Il filosofo e teologo domenicano Garrigou-Lagrange, grande maestro di spiritualità, così si esprimeva, meditando questo grande mistero:
In virtù di questo stesso principio [scil.: Il bene è diffusivo per natura, e più è perfetto, più si dona pienamente e intimamente], era conveniente, dice San Tommaso, che Dio non si accontentasse di crearci, di donarci l’esistenza, la vita, l’intelligenza, la Grazia santificante, partecipazione della sua natura, ma che ci donasse Se stesso in persona attraverso l’Incarnazione del Verbo.
Ma Egli ha fatto infinitamente di più, Egli ha voluto donarci Suo Figlio in persona, come Redentore.
Gesù, sacerdote per l’eternità e salvatore dell’umanità, ha voluto, anche Lui, donarci perfettamente Sé stesso, in tutto il corso della sua vita terrena, soprattutto nell’Ultima Cena, sul Calvario, e non cessa di donarSi tutti i giorni nella Santa Messa e nella Santa Comunione. Niente può mostrarci in modo migliore di questo dono così perfetto di Sé, la ricchezza del Cuore sacerdotale ed eucaristico di Nostro Signore Gesù Cristo. E niente può motivare meglio l'azione di grazie speciale dovuto a Nostro Signore per l'istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio. Egli stesso ha detto: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13)[7]
Come non provare meraviglia dinanzi a una simile realtà: il Creatore del mondo si fa cibo e sostegno della nostra debolezza. Ed è proprio volgendo attenzione a un sì grande mistero che possiamo comprendere con sempre maggiore profondità il compito della Chiesa, la sua missione: portare Cristo, divenendo sempre più simile a Lui.
In ogni atto della vita il cristiano è chiamato ad esprimere il vero culto a Dio. Da qui prende forma la natura intrinsecamente eucaristica della vita cristiana. In quanto coinvolge la realtà umana del credente nella sua concretezza quotidiana, l’Eucarestia rende possibile, giorno dopo giorno, la progressiva trasfigurazione dell’uomo chiamato per grazia ad essere immagine del Figlio di Dio[8].
Più cresce tale consapevolezza, più ogni battezzato può vivere pienamente la sua fede. Siri aveva ben compreso questo punto e per questo raccomando la lettura di questo volume che, di certo, aiuterà tutti i cristiani a vivere, come dice ancora Benedetto XVI, secondo la domenica:
Questa radicale novità che l’Eucarestia introduce nella vita dell’uomo si è rivelata alla coscienza cristiana fin dall’inizio. I fedeli hanno subito percepito il profondo influsso che la Celebrazione eucaristica esercitava sullo stile della loro vita. Sant’Ignazio di Antiochia esprimeva questa verità qualificando i cristiani come «coloro che sono giunti alla nuova speranza», e li presentava come coloro che vivono «secondo la domenica» (iuxta dominicam viventes). Questa formula del gran martire antiocheno mette chiaramente in luce il nesso tra la realtà eucaristica e l’esistenza cristiana nella sua quotidianità[9].
Note:
[1] G. Siri, La presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, in Id., Dogma e Liturgia, istruzioni dottrinali e norme pastorali dell’Arcivescovo di Genova sul culto eucaristico e sulla riforma liturgica promossa dal Vaticano II, scritti e discorsi raccolti e commentati da A. Livi, Leonardo da Vinci, Roma 2014, pag. 61.
[2] Tommaso d’Aquino, Summa theologiae III, q. 73, a. 3. Sul pensiero eucaristico dell’Aquinate si veda M. Bracchi, Latens Veritas. La presenza silenziosa della Verità nella poetica eucaristica di san Tommaso d’Aquino, in Fides Catholica, 2 (VIII - 2013), pp. 189-252.
[3] Cfr. N. Bux, Dogma e liturgia nel dibattito teologico attuale, postfazione a G. Siri, Dogma e liturgia, cit., pp. 217-223.
[4] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 84. Nella Costituzione Sacrosanctum concilium del Concilio Vaticano II, al n. 47, leggiamo: «Il nostro Salvatore nell’Ultima Cena, nella notte in cui veniva tradito, istituì il Sacrificio Eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, col quale perpetuare nei secoli fino al suo ritorno, il Sacrificio della Croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa il memoriale della sua morte e risurrezione: sacramento di amore, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale di riceve Cristo, l’anima viene colmata di grazia e ci è donato il pegno della gloria futura».
[5] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 8.
[6] Ivi, n. 86.
[7] R. Garrigou-Lagrange, Il cuore eucaristico di Gesù e il dono perfetto di se stesso, in La Vie Spirituelle, n° 147, T. XXIX, n° 3 (1° dicembre 1931). «L’Eucarestia è il più grande dei Sacramenti perché non solo contiene la grazia, ma l’Autore stesso della grazia. È il Sacramento di Amore, perché è il frutto dell’amore che si dona, ed ha per effetto principale l’accrescere in noi l’amore di Dio e delle anime in Dio» (R. Garrigou-Lagrange, Le tre età della vita interiore, 4 voll., Edizioni Viverein, Roma 20112, vol. II, pag. 179.
[8] Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 71.
[9] Ivi, n. 72.