L'intuizione dell'essere
da Benoit-Marie Simon, Esiste una intuizione dell'essere, ESD (Bologna 1995), pp. 75-77
Secondo p. Garrigou-Lagrange S. Tommaso e i suoi commentatori [1] insegnano che si coglie l'ente indefinito (ens vagum) a livello della simplex apprehensio prima del giudizio di esistenza:
«Per S. Tommaso ciò che è conosciuto in primo luogo dal nostro intelletto è l'essere intelligibile delle cose sensibili (ens intelligibile rerum sensibilium); ente significa ciò-che-è, l'ente infatti viene chiamato tale a causa dell'essere che ha, e quindi fin dall'inizio della nostra vita intellettiva concepiamo in modo confuso l'essere, cioè l'esistenza, a modo di essenza; ma subito segue il giudizio di esistenza, dell'esistenza esercitata da questo oggetto sensibile e singolare, che in quanto sensibile e singolare viene conosciuto direttamente dai sensi e indirettamente dall’intelletto "in una specie di riflessione" (quasi per quamdam reflectionem) sul suo atto concreto, in quanto l'intelletto si volge verso le specie sensibili nelle quali coglie le specie intelligibili... come viene detto in I, q. 86, a. l...» [2].
«Dunque nella prima percezione intellettuale dell'essere c’è già una nozione confusa dell'esistenza a modo di essenza, prima del giudizio di esistenza che si realizza "componendo" con il verbo è cioè esiste...» [3].
Poi interviene il giudizio di esistenza:
«Occorre distinguere accuratamente la prima percezione dell'ente dal conseguente giudizio sull'esistenza della cosa sensibile e singolare, anche se sono quasi contemporanei, con una priorità di natura però per l'apprehensio. Così, se non sbaglio, afferma S. Tommaso quando dice che: 1- cogliamo l'essere intelligibile delle cose sensibili, e l'opposizione tra l’essere e il non essere che viene formulata nel principio di non contraddizione, prima che venga conosciuta, almeno esplicitamente, la distinzione tra l'ego e il non ego; 2- in seguito giudichiamo dell'esistenza del nostro atto singolo di conoscenza e in concomitanza dell'esistenza del soggetto pensante, ossia dell'ente pensante (che non potrebbe essere pensato come ente se prima non ci fosse stata la percezione dell’essere); infine giudichiamo dell'esistenza fuori della mente di alcune cose sensibili concrete "attraverso una qualche riflessione" sul proprio atto» [4].
Il grande merito di questa posizione, l'abbiamo detto prima, è avere visto che l'essenza è catturata immediatamente come ragione d’essere.
Per finire ecco come p. Garrigou-Lagrange presenta il lavoro di esplicitazione dell'intelligenza:
«Il passaggio dal concetto confuso, espresso dalla definizione nominale, al concetto distinto, espresso dalla definizione reale, si fa per induzione comparativa ascendente, cioè paragonando la cosa da definire, confusamente conosciuta, con le cose simili e dissimili... Questa induzione comparativa ascendente raggiunge la divisione discendente delle diverse modalità di conoscenza... Al termine di questa venatio definitionis realis (di questa caccia alla definizione reale), come dice Aristotele dandone le regole (Post. Analyt. I. II, c. 3,4,6,7, Comm. s. Thomae 1.3 e ss.), il concetto confuso che era il principio direttore della ricerca ascendente e discendente, riconosce se stesso nel concetto distinto, come un uomo dapprima mezzo addormentato riconosce se stesso quando completamente svegliato, si guarda allo specchio. La ricerca della definizione è così opera dell'intelligenza, più che della ragione discorsiva. Ci sarebbe a questo proposito molto da dire sia in teologia che in filosofia. Non possiamo qui dilungarci su questo argomento determinante, notiamo soltanto quello che ci sembra essere fondamentale. È l'intelligenza che passa progressivamente dalla prima conoscenza intellettuale confusa (anteriore al giudizio e al ragionamento) alla conoscenza intellettuale distinta. Per questo essa si serve come di strumenti (in qualche modo inferiori ad essa) dall'induzione comparativa ascendente e dalla divisione discendente. Ma sono soltanto degli strumenti, e la definizione reale ottenuta li supera. Parecchie opere pubblicate in questi ultimi anni sul metodo aristotelico della ricerca della definizione (Post. Anal. III) non tengono conto di quello che c'è di più importante in questa ricerca, del suo principio direttore, che è superiore alla ragione discorsiva, e che non è altro che il "nous" e la sua conoscenza intellettuale confusa della cosa da definire, conoscenza espressa nel quid nominis, che contiene confusamente il quid rei. L'intelligenza non cercherebbe la definizione reale se in un certo senso non l'avesse già trovata» [5].
Note:
[1] Ad esempio Giovanni di San Tommaso scrive: «nell'essenza l'intelletto coglie soltanto un predicato molto comune e confuso che è l'essere stesso» (Cursus Philosophicus, Phil. Nat., p. 1, q. 1, a. 3).
[2] R. Garrigou-Lagrange, De intelligentia naturali et de primo objecto ab ipso cognito…, pp. 143-144.
[3] Ibid., p. 145; cf. I, q. 3, a. 4 ad 2.
[4] Ibid, p. 144; cf. De Veritate q. 10, a. 5 et q. 1, a. 9.
[5] R. Garrigou-Lagrange, Le sens du mystère et le clair-obscur intellectuel, Desclée de Brouwer, Paris 1934, pp. 47-48.
Secondo p. Garrigou-Lagrange S. Tommaso e i suoi commentatori [1] insegnano che si coglie l'ente indefinito (ens vagum) a livello della simplex apprehensio prima del giudizio di esistenza:
«Per S. Tommaso ciò che è conosciuto in primo luogo dal nostro intelletto è l'essere intelligibile delle cose sensibili (ens intelligibile rerum sensibilium); ente significa ciò-che-è, l'ente infatti viene chiamato tale a causa dell'essere che ha, e quindi fin dall'inizio della nostra vita intellettiva concepiamo in modo confuso l'essere, cioè l'esistenza, a modo di essenza; ma subito segue il giudizio di esistenza, dell'esistenza esercitata da questo oggetto sensibile e singolare, che in quanto sensibile e singolare viene conosciuto direttamente dai sensi e indirettamente dall’intelletto "in una specie di riflessione" (quasi per quamdam reflectionem) sul suo atto concreto, in quanto l'intelletto si volge verso le specie sensibili nelle quali coglie le specie intelligibili... come viene detto in I, q. 86, a. l...» [2].
«Dunque nella prima percezione intellettuale dell'essere c’è già una nozione confusa dell'esistenza a modo di essenza, prima del giudizio di esistenza che si realizza "componendo" con il verbo è cioè esiste...» [3].
Poi interviene il giudizio di esistenza:
«Occorre distinguere accuratamente la prima percezione dell'ente dal conseguente giudizio sull'esistenza della cosa sensibile e singolare, anche se sono quasi contemporanei, con una priorità di natura però per l'apprehensio. Così, se non sbaglio, afferma S. Tommaso quando dice che: 1- cogliamo l'essere intelligibile delle cose sensibili, e l'opposizione tra l’essere e il non essere che viene formulata nel principio di non contraddizione, prima che venga conosciuta, almeno esplicitamente, la distinzione tra l'ego e il non ego; 2- in seguito giudichiamo dell'esistenza del nostro atto singolo di conoscenza e in concomitanza dell'esistenza del soggetto pensante, ossia dell'ente pensante (che non potrebbe essere pensato come ente se prima non ci fosse stata la percezione dell’essere); infine giudichiamo dell'esistenza fuori della mente di alcune cose sensibili concrete "attraverso una qualche riflessione" sul proprio atto» [4].
Il grande merito di questa posizione, l'abbiamo detto prima, è avere visto che l'essenza è catturata immediatamente come ragione d’essere.
Per finire ecco come p. Garrigou-Lagrange presenta il lavoro di esplicitazione dell'intelligenza:
«Il passaggio dal concetto confuso, espresso dalla definizione nominale, al concetto distinto, espresso dalla definizione reale, si fa per induzione comparativa ascendente, cioè paragonando la cosa da definire, confusamente conosciuta, con le cose simili e dissimili... Questa induzione comparativa ascendente raggiunge la divisione discendente delle diverse modalità di conoscenza... Al termine di questa venatio definitionis realis (di questa caccia alla definizione reale), come dice Aristotele dandone le regole (Post. Analyt. I. II, c. 3,4,6,7, Comm. s. Thomae 1.3 e ss.), il concetto confuso che era il principio direttore della ricerca ascendente e discendente, riconosce se stesso nel concetto distinto, come un uomo dapprima mezzo addormentato riconosce se stesso quando completamente svegliato, si guarda allo specchio. La ricerca della definizione è così opera dell'intelligenza, più che della ragione discorsiva. Ci sarebbe a questo proposito molto da dire sia in teologia che in filosofia. Non possiamo qui dilungarci su questo argomento determinante, notiamo soltanto quello che ci sembra essere fondamentale. È l'intelligenza che passa progressivamente dalla prima conoscenza intellettuale confusa (anteriore al giudizio e al ragionamento) alla conoscenza intellettuale distinta. Per questo essa si serve come di strumenti (in qualche modo inferiori ad essa) dall'induzione comparativa ascendente e dalla divisione discendente. Ma sono soltanto degli strumenti, e la definizione reale ottenuta li supera. Parecchie opere pubblicate in questi ultimi anni sul metodo aristotelico della ricerca della definizione (Post. Anal. III) non tengono conto di quello che c'è di più importante in questa ricerca, del suo principio direttore, che è superiore alla ragione discorsiva, e che non è altro che il "nous" e la sua conoscenza intellettuale confusa della cosa da definire, conoscenza espressa nel quid nominis, che contiene confusamente il quid rei. L'intelligenza non cercherebbe la definizione reale se in un certo senso non l'avesse già trovata» [5].
Note:
[1] Ad esempio Giovanni di San Tommaso scrive: «nell'essenza l'intelletto coglie soltanto un predicato molto comune e confuso che è l'essere stesso» (Cursus Philosophicus, Phil. Nat., p. 1, q. 1, a. 3).
[2] R. Garrigou-Lagrange, De intelligentia naturali et de primo objecto ab ipso cognito…, pp. 143-144.
[3] Ibid., p. 145; cf. I, q. 3, a. 4 ad 2.
[4] Ibid, p. 144; cf. De Veritate q. 10, a. 5 et q. 1, a. 9.
[5] R. Garrigou-Lagrange, Le sens du mystère et le clair-obscur intellectuel, Desclée de Brouwer, Paris 1934, pp. 47-48.