L'importanza del senso comune
In occasione dell’uscita della nuova edizione italiana de Il senso comune, la filosofia dell’essere e le formule dogmatiche, abbiamo pensato di proporre un breve saggio celebrativo dell’istanza del senso comune nella percezione del grande teologo e filosofo domenicano p. Réginald Garrigou-Lagrange. Nelle poche parole che seguono vorremmo dire il nostro “grazie” ai curatori, Antonio Livi e Mario Padovano, per avere ridonato al pubblico italiano una così grande opera che, malauguratamente, non ebbe mai modo fino ad oggi di apparire integralmente nella nostra lingua. Auspichiamo che chi leggerà quanto segue possa scorgervi un invito alla lettura fruttuoso e slanciato verso una feconda speculazione.
Oggi, nel parlare di senso comune, spesso si rischia di richiamare alla mente più che una precisa struttura filosofica, piuttosto un’opinione diffusa ma, ormai, privata di valore fondamentale, molto più spesso confusa con il parere maggiormente quotato[1], molto più consonante con l’universus consensus originato dal diritto romano.
Nel panorama italiano contemporaneo la filosofia del senso comune, attualmente, non riscontra l’interesse che le andrebbe concesso. Solo figure, legate al Tomismo[2], come il prof. mons. Antonio Livi[3], già docente ordinario della Pontificia Università Lateranense, sono incoraggiate a portare avanti una questione di sì tanto rilievo.
Non vi è dubbio che questa nuova generazione di filosofi e teologi non possa che guardare a Garrigou-Lagrange come ad un maestro e precursore imprescindibile. Al centro della produzione del domenicano francese sull’argomento spicca il saggio del 1909: Le sens commun,la philosophie de l’être et les formules dogmatiques, che vide in seguito numerose edizioni e traduzioni.
È necessario, però, chiedersi anzitutto cosa sia il senso comune e quale ruolo possa ricoprire all’interno del quadro filosofico tomistico[4]. In primo luogo ci è dato di individuare un retroterra[5]al quale Garrigou si richiama, vuoi per svilupparlo, vuoi per opporvisi. In un secondo tempo vedremo qual è il significato che Garrigou, a partire dal Neotomismo, attribuisce all’istanza del senso comune.
1. La Scuola scozzese
Il primo antecedente risiede in quella corrente di pensiero che, per prima, fu nominata Scuola scozzese del senso comune[6](meno nota con il nome di percezionismo). Come già la locuzione mostra è legata a un preciso luogo geografico-culturale: la Scozia, nella fattispecie le Università di Glasgow e Edinburgh. Il tentativo elaborato dalla Scuola scozzese è quello di riparare allo scetticismo di Hume e all’idealismo di Berkeley[7], riportando al centro del dibatto l’evidenza del senso comune. Principale mente della Scuola fu Thomas Reid[8], il quale sostenne che la percezione non è una conoscenza di idee o rappresentazioni mentali, bensì il rapporto immediatocon la realtà degli oggetti che sono causa di detta conoscenza. Questo è il presupposto dal quale deriva quella “credenza istintiva”[9]nell’esistenza del mondo esteriore e dell’io, che né necessita di dimostrazioni, né può subire confutazioni.
È abbastanza semplice, tuttavia senza alcuna banalità, intuire quale possa essere l’obiezione principale che Garrigou-Lagrange muove a questa Scuola: il riduzionismo. Di un’intuizione corretta - l’appello al senso comune, appunto - se ne fa un assoluto. Quanto viene a mancare è la connessione reale con l’essere, particolarmente evidenziata da padre Réginald nel prosecutore francese del pensiero di Reid: Théodore Jouffroy[10]. Afferma Garrigou: «Jouffroy, seguendo Reid, fonda la certezza dei primi principi su questo istinto della natura ragionevole, sorta d’ispirazione o di suggestione che ciascuno esperimenta in sé e che sarebbe precisamente il senso comune. Jouffroy, come gli scozzesi, misconosce così la vera natura della conoscenza e non sfugge allo scetticismo. La conoscenza essendo conoscenza di qualche cosa, deve essere determinata da questo qualche cosa e afferrarlo, sotto pena di non esserne la conoscenza. Che cosa potrebbe essere mai una conoscenza determinata da una spontaneità cieca della natura? La nostra intelligenza, quando giudica e afferma la sua conformità con l’oggetto, vede questa conformità o non la vede. Se la vede, la sua certezza non si appoggia sull’istinto di cui parlano Reid e Jouffroy: se non la vede, il suo giudizio non è una conoscenza. Ciò che in realtà motiva la nostra adesione è l’evidenza; non l’evidenza soggettiva quale il Descartes la concepisce, ma l’evidenza oggettiva ossia l’essere evidente. E questo pure non si può intendere se non con la distinzione di potenza ed atto; ma ciò ha valore se l’intelligenza è potenza essenzialmente relativa all’essere e se essa si comprende come tale. Ora l’intelligenza, con un ritorno su se stessa, si concepisce proprio come potenza intenzionale o relativa a questo assoluto che è l’essere e come determinabile da esso»[11].
Quanto il domenicano francese scorge nel senso comune degli Scozzesi è, in ultima analisi, non una confutazione dello scetticismo humiano, bensì una paradossale ricaduta in esso, proprio in ragione della riduzione ontologica del senso comune ad una “tendenza cieca”.
Se, al contrario, si intende con Jouffroy e con Reid, una tendenza cieca, questa tendenza resta un fatto inspiegato, e così la non-conoscenza è introdotta in seno stesso alla conoscenza. Non diversamente da Reid, non si sfugge infine allo scetticismo di Hume: questa tendenza cieca della nostra natura è conosciuta dal nostro spirito come un fatto avente un rapporto infallibile con la verità? Se sì, questo riconoscimento non si può fare se non in virtù di un altro criterio. Se no, ogni nostra certezza riposa su un criterio di cui noi ignoriamo l’esistenza, o almeno il valore: che è lo scetticismo medesimo[12].
Sulla base di questa ricaduta è, allora, ancora più lampante la differenza e la superiorità del Tomismo sul tentativo originato dagli Scozzesi.
Il pensiero aristotelico-tomistico si armonizza così con la ragione naturale ma supera di molto il senso comune, mettendo in rilievo la necessaria subordinazione dei vari aspetti del reale, secondo la natura delle cose. Per tal modo il tomismo s’innalza molto al di sopra della filosofia degli scozzesi, che si riduceva tutta al senso comune. Fra Tommaso Reid e Tommaso d’Aquino c’è un’immensa differenza[13].
Quanto resta in gioco, per Garrigou, è sempre e solo la verità dell’essere, ovvero un’ontologia aletica.
2. L’istanza del NeotomismoAll’interno del movimento di ripresa di san Tommaso, certamente sulla spinta dell’Enciclica Aeterni Patris, spicca, in relazione al presente tema, la figura del cardinale Tommaso Zigliara[14]. Egli infatti ritiene - non a caso nel suo magnum opusfilosofico, non teologico - che la tendenza della natura razionale ad ammettere taluni giudizi è il sensus naturae communis[15]. Sebbene quello del cardinale domenicano sia un precedente illustre e degno di essere qui evocato, Garrigou-Lagrange non resta però legato ad un appiglio tanto debole. È chiaro che l’obiettivo da perseguire è quello di restituire, evitando l’errore degli Scozzesi sopra ricordato, la portata ontologica al senso comune. Infatti, a parere di padre Réginald, solo la philosophie de l’êtreè la vera filosofia del senso comune, come possiamo leggere in quelle righe che potremmo definire la sintesi del suo programma in merito alla questione.
«C’est ce que nous voudrions montrer dans le présent ouvrage: au-dessus d’un nominalisme pragmatiste ou utilitaire, qui conduit à déclarer le réel inconnaissable, et d’un réalisme naïf, qui croit avoir dès ici-bas l’intuition immédiate de Dieu, au-dessus aussi d’une vague philosophie de sens commun, sorte de compromis qui se contente de neutraliser les systèmes extrêmes les uns par les autres, sans nous donner aucune affirmation vigoureuse, précise et compréhensive, s’élève la véritable métaphysique traditionnelle, philosophie de l’être, seule vraiment conforme au sens commun, parce que seule elle en est le développement et la justification»[16].
Persino la Chiesa, nell’espressione più alta della sua infallibilità, ovvero la formulazione dogmatica[17], attinge, in modo mediato o immediato, al senso comune finanche nell’uso del linguaggio filosofico[18]. La conseguenza è l’accessibilità di queste formule all’uomo di ogni epoca. L’affermazione non è certo ingenua come può apparire di primo acchito; infatti non si parla ancora di un atto di fede, per il quale la ragione umana necessita di un lume soprannaturale[19], ma parimenti detta ragione non necessita di acquisire nuovi concetti che il senso comune non abbia già noti.
In questo senso, sulla scorta di Nichols, possiamo determinare in maniera più precisa cosa Garrigou intenda per senso comune: «Negatively, it does not mean widely received opinions, much less uneducated guesses. Positively, the sens communis “spontaneous reason” or, as Garrigou sometimes writes, “primordial” reason. Its key principle is: what is first know is the intelligible content of sense experience»[20].
Emerge chiaro il realismo equilibrato del Tomismo che, contro ogni agnosticismo, rende ragione della realtà della resconosciuta. Nelle parole di Bergson, che Garrigou richiama per ritorcergliele contro, il senso comune è una «naturale metafisica dell’intelligenza umana»[21]. Nuovamente torna la centralità ontologica per la quale il senso comune non può non ricorrere al quel termine che, secondo Garrigou, è così minuto quanto più importante: è. L’être, l’essere, conclude il domenicano, è «la lumière objective de l’intelligence, le principe d’universelle intelligibilité»[22]. Senza la profonda comprensione ontologica, il senso comune non è in grado di fondare quaedam perennis philosophia, per usare la terminologia leibniziana.
In conclusione bisogna dunque affermare che il senso comune, nella misura in cui è connesso all’essere, rende per sé noti e soddisfa i principi che scaturiscono dal principio di identità; rende noti però anche i principi pratici di base, quale la persecuzione del bene e la ripulsa del male. Sono principi innati, senza i quali, a dire Garrigou-Lagrange, non sarebbe nemmeno possibile l’educazione dell’infanzia.
Una prospettiva che radica il senso comune così in profondità nell’uomo, è in grado di evitare la scissione della natura dalla ragione[23].La riprova, come nota Garrigou, è che «Ces principes sont aussi immuables en nous, inscrits d’une façon indélébile dans la raison humaine; ils s’identifient en quelque sorte avec elle, puisqu’elle n’est après tout qu’une relation transcendantale à l’être en tant qu’être, qui implique en soi ces toutes premières vérités»[24].
Tale identità lungi dall’essere intesa come confusione; semmai si tratta di un’identità strutturante la ragione stessa. Si fonda così il presupposto per la veridicità delle cosiddette “prove” dell’esistenza di Dio, ovvero le cinque viaedi san Tommaso, che, per padre Réginald, si riducono di fatto al valore assoluto del principio d’identità, il solo in grado di convalidare quelle prove di natura cosmologica che, ad occhi meno attenti, potrebbero apparire segnate da una fisica superata e, pertanto, superate anch’esse.Invece no, il loro valore risiede ben oltre, in quanto «la réalité fondamentale doit être en tout et pour tout identique à elle-même, qu’elle est à l’existence comme A est A, Ipsum esse, Acte pur, conséquemment absolument une et immuable et par là même transcendante: essentiellement distincte du monde qui, lui, est essentiellement multiplicité et devenir»[25].
È chiaro che l’obiezione mossa dal fronte modernista, nella persona di Edouard Le Roy, per la quale il Tomismo sta o cade sulla base di un assioma, si rivela infondata. Dio non è, come si vorrebbe far credere, un concetto elaborato dall’uomo e poi applicato alla Rivelazione cristiana. Afferma Garrigou: «Lorsque nous disons que Dieu est immuable, nous ne voulons pas dire qu’il soit inerte, nous affirmons au contraire qu’étant la plénitude de l’être ou l’acte pur il est par essence son activité même et n’a pas besoin de passer à l’acte pour agir»[26].
In una formulazione “più affascinante” (così la definisce p. Nichols), p. Réginald afferma che Dio «possède si bien en lui tous les principes (formel, final, efficient) de son action que cette action est lui-même»[27].
Non si può non concludere, e passare al piano propriamente teologico, che «A man who could write those words was not only a metaphysician, he was also something of a philosophical mystic»[28].
Oggi, nel parlare di senso comune, spesso si rischia di richiamare alla mente più che una precisa struttura filosofica, piuttosto un’opinione diffusa ma, ormai, privata di valore fondamentale, molto più spesso confusa con il parere maggiormente quotato[1], molto più consonante con l’universus consensus originato dal diritto romano.
Nel panorama italiano contemporaneo la filosofia del senso comune, attualmente, non riscontra l’interesse che le andrebbe concesso. Solo figure, legate al Tomismo[2], come il prof. mons. Antonio Livi[3], già docente ordinario della Pontificia Università Lateranense, sono incoraggiate a portare avanti una questione di sì tanto rilievo.
Non vi è dubbio che questa nuova generazione di filosofi e teologi non possa che guardare a Garrigou-Lagrange come ad un maestro e precursore imprescindibile. Al centro della produzione del domenicano francese sull’argomento spicca il saggio del 1909: Le sens commun,la philosophie de l’être et les formules dogmatiques, che vide in seguito numerose edizioni e traduzioni.
È necessario, però, chiedersi anzitutto cosa sia il senso comune e quale ruolo possa ricoprire all’interno del quadro filosofico tomistico[4]. In primo luogo ci è dato di individuare un retroterra[5]al quale Garrigou si richiama, vuoi per svilupparlo, vuoi per opporvisi. In un secondo tempo vedremo qual è il significato che Garrigou, a partire dal Neotomismo, attribuisce all’istanza del senso comune.
1. La Scuola scozzese
Il primo antecedente risiede in quella corrente di pensiero che, per prima, fu nominata Scuola scozzese del senso comune[6](meno nota con il nome di percezionismo). Come già la locuzione mostra è legata a un preciso luogo geografico-culturale: la Scozia, nella fattispecie le Università di Glasgow e Edinburgh. Il tentativo elaborato dalla Scuola scozzese è quello di riparare allo scetticismo di Hume e all’idealismo di Berkeley[7], riportando al centro del dibatto l’evidenza del senso comune. Principale mente della Scuola fu Thomas Reid[8], il quale sostenne che la percezione non è una conoscenza di idee o rappresentazioni mentali, bensì il rapporto immediatocon la realtà degli oggetti che sono causa di detta conoscenza. Questo è il presupposto dal quale deriva quella “credenza istintiva”[9]nell’esistenza del mondo esteriore e dell’io, che né necessita di dimostrazioni, né può subire confutazioni.
È abbastanza semplice, tuttavia senza alcuna banalità, intuire quale possa essere l’obiezione principale che Garrigou-Lagrange muove a questa Scuola: il riduzionismo. Di un’intuizione corretta - l’appello al senso comune, appunto - se ne fa un assoluto. Quanto viene a mancare è la connessione reale con l’essere, particolarmente evidenziata da padre Réginald nel prosecutore francese del pensiero di Reid: Théodore Jouffroy[10]. Afferma Garrigou: «Jouffroy, seguendo Reid, fonda la certezza dei primi principi su questo istinto della natura ragionevole, sorta d’ispirazione o di suggestione che ciascuno esperimenta in sé e che sarebbe precisamente il senso comune. Jouffroy, come gli scozzesi, misconosce così la vera natura della conoscenza e non sfugge allo scetticismo. La conoscenza essendo conoscenza di qualche cosa, deve essere determinata da questo qualche cosa e afferrarlo, sotto pena di non esserne la conoscenza. Che cosa potrebbe essere mai una conoscenza determinata da una spontaneità cieca della natura? La nostra intelligenza, quando giudica e afferma la sua conformità con l’oggetto, vede questa conformità o non la vede. Se la vede, la sua certezza non si appoggia sull’istinto di cui parlano Reid e Jouffroy: se non la vede, il suo giudizio non è una conoscenza. Ciò che in realtà motiva la nostra adesione è l’evidenza; non l’evidenza soggettiva quale il Descartes la concepisce, ma l’evidenza oggettiva ossia l’essere evidente. E questo pure non si può intendere se non con la distinzione di potenza ed atto; ma ciò ha valore se l’intelligenza è potenza essenzialmente relativa all’essere e se essa si comprende come tale. Ora l’intelligenza, con un ritorno su se stessa, si concepisce proprio come potenza intenzionale o relativa a questo assoluto che è l’essere e come determinabile da esso»[11].
Quanto il domenicano francese scorge nel senso comune degli Scozzesi è, in ultima analisi, non una confutazione dello scetticismo humiano, bensì una paradossale ricaduta in esso, proprio in ragione della riduzione ontologica del senso comune ad una “tendenza cieca”.
Se, al contrario, si intende con Jouffroy e con Reid, una tendenza cieca, questa tendenza resta un fatto inspiegato, e così la non-conoscenza è introdotta in seno stesso alla conoscenza. Non diversamente da Reid, non si sfugge infine allo scetticismo di Hume: questa tendenza cieca della nostra natura è conosciuta dal nostro spirito come un fatto avente un rapporto infallibile con la verità? Se sì, questo riconoscimento non si può fare se non in virtù di un altro criterio. Se no, ogni nostra certezza riposa su un criterio di cui noi ignoriamo l’esistenza, o almeno il valore: che è lo scetticismo medesimo[12].
Sulla base di questa ricaduta è, allora, ancora più lampante la differenza e la superiorità del Tomismo sul tentativo originato dagli Scozzesi.
Il pensiero aristotelico-tomistico si armonizza così con la ragione naturale ma supera di molto il senso comune, mettendo in rilievo la necessaria subordinazione dei vari aspetti del reale, secondo la natura delle cose. Per tal modo il tomismo s’innalza molto al di sopra della filosofia degli scozzesi, che si riduceva tutta al senso comune. Fra Tommaso Reid e Tommaso d’Aquino c’è un’immensa differenza[13].
Quanto resta in gioco, per Garrigou, è sempre e solo la verità dell’essere, ovvero un’ontologia aletica.
2. L’istanza del NeotomismoAll’interno del movimento di ripresa di san Tommaso, certamente sulla spinta dell’Enciclica Aeterni Patris, spicca, in relazione al presente tema, la figura del cardinale Tommaso Zigliara[14]. Egli infatti ritiene - non a caso nel suo magnum opusfilosofico, non teologico - che la tendenza della natura razionale ad ammettere taluni giudizi è il sensus naturae communis[15]. Sebbene quello del cardinale domenicano sia un precedente illustre e degno di essere qui evocato, Garrigou-Lagrange non resta però legato ad un appiglio tanto debole. È chiaro che l’obiettivo da perseguire è quello di restituire, evitando l’errore degli Scozzesi sopra ricordato, la portata ontologica al senso comune. Infatti, a parere di padre Réginald, solo la philosophie de l’êtreè la vera filosofia del senso comune, come possiamo leggere in quelle righe che potremmo definire la sintesi del suo programma in merito alla questione.
«C’est ce que nous voudrions montrer dans le présent ouvrage: au-dessus d’un nominalisme pragmatiste ou utilitaire, qui conduit à déclarer le réel inconnaissable, et d’un réalisme naïf, qui croit avoir dès ici-bas l’intuition immédiate de Dieu, au-dessus aussi d’une vague philosophie de sens commun, sorte de compromis qui se contente de neutraliser les systèmes extrêmes les uns par les autres, sans nous donner aucune affirmation vigoureuse, précise et compréhensive, s’élève la véritable métaphysique traditionnelle, philosophie de l’être, seule vraiment conforme au sens commun, parce que seule elle en est le développement et la justification»[16].
Persino la Chiesa, nell’espressione più alta della sua infallibilità, ovvero la formulazione dogmatica[17], attinge, in modo mediato o immediato, al senso comune finanche nell’uso del linguaggio filosofico[18]. La conseguenza è l’accessibilità di queste formule all’uomo di ogni epoca. L’affermazione non è certo ingenua come può apparire di primo acchito; infatti non si parla ancora di un atto di fede, per il quale la ragione umana necessita di un lume soprannaturale[19], ma parimenti detta ragione non necessita di acquisire nuovi concetti che il senso comune non abbia già noti.
In questo senso, sulla scorta di Nichols, possiamo determinare in maniera più precisa cosa Garrigou intenda per senso comune: «Negatively, it does not mean widely received opinions, much less uneducated guesses. Positively, the sens communis “spontaneous reason” or, as Garrigou sometimes writes, “primordial” reason. Its key principle is: what is first know is the intelligible content of sense experience»[20].
Emerge chiaro il realismo equilibrato del Tomismo che, contro ogni agnosticismo, rende ragione della realtà della resconosciuta. Nelle parole di Bergson, che Garrigou richiama per ritorcergliele contro, il senso comune è una «naturale metafisica dell’intelligenza umana»[21]. Nuovamente torna la centralità ontologica per la quale il senso comune non può non ricorrere al quel termine che, secondo Garrigou, è così minuto quanto più importante: è. L’être, l’essere, conclude il domenicano, è «la lumière objective de l’intelligence, le principe d’universelle intelligibilité»[22]. Senza la profonda comprensione ontologica, il senso comune non è in grado di fondare quaedam perennis philosophia, per usare la terminologia leibniziana.
In conclusione bisogna dunque affermare che il senso comune, nella misura in cui è connesso all’essere, rende per sé noti e soddisfa i principi che scaturiscono dal principio di identità; rende noti però anche i principi pratici di base, quale la persecuzione del bene e la ripulsa del male. Sono principi innati, senza i quali, a dire Garrigou-Lagrange, non sarebbe nemmeno possibile l’educazione dell’infanzia.
Una prospettiva che radica il senso comune così in profondità nell’uomo, è in grado di evitare la scissione della natura dalla ragione[23].La riprova, come nota Garrigou, è che «Ces principes sont aussi immuables en nous, inscrits d’une façon indélébile dans la raison humaine; ils s’identifient en quelque sorte avec elle, puisqu’elle n’est après tout qu’une relation transcendantale à l’être en tant qu’être, qui implique en soi ces toutes premières vérités»[24].
Tale identità lungi dall’essere intesa come confusione; semmai si tratta di un’identità strutturante la ragione stessa. Si fonda così il presupposto per la veridicità delle cosiddette “prove” dell’esistenza di Dio, ovvero le cinque viaedi san Tommaso, che, per padre Réginald, si riducono di fatto al valore assoluto del principio d’identità, il solo in grado di convalidare quelle prove di natura cosmologica che, ad occhi meno attenti, potrebbero apparire segnate da una fisica superata e, pertanto, superate anch’esse.Invece no, il loro valore risiede ben oltre, in quanto «la réalité fondamentale doit être en tout et pour tout identique à elle-même, qu’elle est à l’existence comme A est A, Ipsum esse, Acte pur, conséquemment absolument une et immuable et par là même transcendante: essentiellement distincte du monde qui, lui, est essentiellement multiplicité et devenir»[25].
È chiaro che l’obiezione mossa dal fronte modernista, nella persona di Edouard Le Roy, per la quale il Tomismo sta o cade sulla base di un assioma, si rivela infondata. Dio non è, come si vorrebbe far credere, un concetto elaborato dall’uomo e poi applicato alla Rivelazione cristiana. Afferma Garrigou: «Lorsque nous disons que Dieu est immuable, nous ne voulons pas dire qu’il soit inerte, nous affirmons au contraire qu’étant la plénitude de l’être ou l’acte pur il est par essence son activité même et n’a pas besoin de passer à l’acte pour agir»[26].
In una formulazione “più affascinante” (così la definisce p. Nichols), p. Réginald afferma che Dio «possède si bien en lui tous les principes (formel, final, efficient) de son action que cette action est lui-même»[27].
Non si può non concludere, e passare al piano propriamente teologico, che «A man who could write those words was not only a metaphysician, he was also something of a philosophical mystic»[28].
[1] Un’accezione simile è riscontrabile in Descartes, il quale utilizza la terminologia di “senso comune” come un equivalente di “buon senso”, “sana ragione”, ovvero il vuoto “es gibt” della critica heideggeriana. Cfr. R. Descartes, Discorso sul metodo, San Paolo (Cinisello Balsamo 2003), pp. 52-55. Si veda anche il commento che ne fa É. Gilson, ivi, pp. 214-215.
[2] Cfr. AA.VV., Le ragioni del tomismo. Dopo il centenario dell’enciclica “Aeterni Patris”, Ares (Milano 1979).
[3] Un’amplissima e aggiornata bibliografia, con particolare riferimento al tema del senso comune, si trova sul suo sito personale del Professore pratese, all’indirizzo: http://www.antoniolivi.com/it/?page_id=5.
[4] È la domanda alla quale si propone di rispondere anche p. Nichols nel suo saggio e che seguiremo con particolare consonanza. Cfr. A. Nichols, Reason with Piety. Garrigou-Lagrange in the Service of Catholic Thought, Sapientia Press of Ave Maria University (Naples FL 2008), pp. 10-16.
[5] Non si prende volutamente in esame l’apporto di Aristotele, il quale parla di fatto di una κοινὴ αἴσϑησις, in quanto il nostro Autore lo riceve già assorbito da san Tommaso, specie nel commento Sentencia libri De anima, e non vi riserva particolare rilievo. Si veda, ad es., il ricorso che Garrigou-Lagrange fa ad Aristotele nella Prima Parte de Il senso comune.
[6] Cfr. R. Garrigou-Lagrange, Il senso comune, la filosofia dell’essere e le formule dogmatiche, Leonardo da Vinci (Roma 2013), pp. 134-137; tr. it. pp. 43-44.
[7] George Berkeley (1685-1753) filosofo e teologo irlandese, facente parte della triade degli empiristi britannici insieme a Locke e Hume.
[8] Thomas Reid (1710-1796) fu principalmente attivo nell’Università di Glasgow. Tra le sue opere bisogna ricordare: Inquiry into the Human Mind on the Principles of Common Sense (1764); Essays on the Intellectual Powers of Man (1785); Essays on the Active Powers of Man (1788).
[9] Infatti, come sottolinea p. Nichols (op. cit., p. 11), Reid parla primariamente di istinto naturale (natural instinct).
[10] Théodore Simon Jouffroy (1796-1842) filosofo francese, rivendicò l’autonomia della psicologia dalla fisiologia e dalla metafisica, intravedendo nel senso comune l’origine dei principi autoevidenti della logica e della morale, campo, quest’ultimo, al quale diede il suo apporto più significativo.
[11] SC, p. 135; tr. it. p. 43.
[12] SC, pp. 136-137; tr. it. p. 44.
[13] R. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Queriniana, Brescia 1953, p. 385.
[14] Tommaso Maria Zigliara O.P. (1833-1893), teologo e filosofo italiano. Insegnò a Roma prima al Collegio della Minerva, poi al Collegio francese. Ricevette la berretta cardinalizia (1879) dall’amico Gioacchino Pecci, divenuto Leone XIII, il quale, di nascosto, assisteva alle lectionesaccademiche del domenicano. Zigliara fu membro di sette Congregazioni Romane, nonché prefetto della Congregazione degli Studi e co-presidente dell’Accademia di san Tommaso d’Aquino.
[15] T. Zigliara, Summa Philosophica, Beauchesne (Parisiis 191916), vol. I, p. 257, cit. in A. Nichols, op. cit., p. 11.
[16] SC, pp. 18-19.
[17] In questo senso si giustifica la spesso poco considerata Terza Parte de Il senso comuneche, sin dal titolo, preannuncia una connessione con les formules dogmatiques. In sintesi la tematica è viene ripresa nell’articolo di Garrigou “Natura e valore delle formule dogmatiche”contenuto in Pontificia Facoltà Teologica di Milano(ed.), Problemi e orientamenti di Teologia Dommatica, Carlo Marzorati Editore (Milano 1957), vol. I, pp. 387-408.
[18] Padre Nichols (op. cit., p. 11) ricorda termini quali: sostanza, natura, persona.
[19] È forte l’incidenza che ebbe la lettura di A. Gardeil, Le donné révélé et la théologie, J. Gabalda (Paris 1910), ma in generale l’impianto tomistico di quest’ultimo autore.
[20] A. Nichols, op. cit., p. 12.
[21] H. Bergson, L’evoluzione creatrice, Raffaello Cortina Editore (Milano 2002), p. 266.
[22] SC, p. 53.
[23] Crediamo che, in direzione analoga e derivata, si possa ugualmente evitare, sul piano teologico, la scissione tra natura e soprannatura, pur mantenendo la dovuta distinzione.
[24] SC, p. 117; tr. it. p. 30.
[25] SC, pp. 185-186.
[26] SC, p. 226.
[27] SC, p. 225.
[28] A. Nichols, op. cit., p. 16.
[2] Cfr. AA.VV., Le ragioni del tomismo. Dopo il centenario dell’enciclica “Aeterni Patris”, Ares (Milano 1979).
[3] Un’amplissima e aggiornata bibliografia, con particolare riferimento al tema del senso comune, si trova sul suo sito personale del Professore pratese, all’indirizzo: http://www.antoniolivi.com/it/?page_id=5.
[4] È la domanda alla quale si propone di rispondere anche p. Nichols nel suo saggio e che seguiremo con particolare consonanza. Cfr. A. Nichols, Reason with Piety. Garrigou-Lagrange in the Service of Catholic Thought, Sapientia Press of Ave Maria University (Naples FL 2008), pp. 10-16.
[5] Non si prende volutamente in esame l’apporto di Aristotele, il quale parla di fatto di una κοινὴ αἴσϑησις, in quanto il nostro Autore lo riceve già assorbito da san Tommaso, specie nel commento Sentencia libri De anima, e non vi riserva particolare rilievo. Si veda, ad es., il ricorso che Garrigou-Lagrange fa ad Aristotele nella Prima Parte de Il senso comune.
[6] Cfr. R. Garrigou-Lagrange, Il senso comune, la filosofia dell’essere e le formule dogmatiche, Leonardo da Vinci (Roma 2013), pp. 134-137; tr. it. pp. 43-44.
[7] George Berkeley (1685-1753) filosofo e teologo irlandese, facente parte della triade degli empiristi britannici insieme a Locke e Hume.
[8] Thomas Reid (1710-1796) fu principalmente attivo nell’Università di Glasgow. Tra le sue opere bisogna ricordare: Inquiry into the Human Mind on the Principles of Common Sense (1764); Essays on the Intellectual Powers of Man (1785); Essays on the Active Powers of Man (1788).
[9] Infatti, come sottolinea p. Nichols (op. cit., p. 11), Reid parla primariamente di istinto naturale (natural instinct).
[10] Théodore Simon Jouffroy (1796-1842) filosofo francese, rivendicò l’autonomia della psicologia dalla fisiologia e dalla metafisica, intravedendo nel senso comune l’origine dei principi autoevidenti della logica e della morale, campo, quest’ultimo, al quale diede il suo apporto più significativo.
[11] SC, p. 135; tr. it. p. 43.
[12] SC, pp. 136-137; tr. it. p. 44.
[13] R. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Queriniana, Brescia 1953, p. 385.
[14] Tommaso Maria Zigliara O.P. (1833-1893), teologo e filosofo italiano. Insegnò a Roma prima al Collegio della Minerva, poi al Collegio francese. Ricevette la berretta cardinalizia (1879) dall’amico Gioacchino Pecci, divenuto Leone XIII, il quale, di nascosto, assisteva alle lectionesaccademiche del domenicano. Zigliara fu membro di sette Congregazioni Romane, nonché prefetto della Congregazione degli Studi e co-presidente dell’Accademia di san Tommaso d’Aquino.
[15] T. Zigliara, Summa Philosophica, Beauchesne (Parisiis 191916), vol. I, p. 257, cit. in A. Nichols, op. cit., p. 11.
[16] SC, pp. 18-19.
[17] In questo senso si giustifica la spesso poco considerata Terza Parte de Il senso comuneche, sin dal titolo, preannuncia una connessione con les formules dogmatiques. In sintesi la tematica è viene ripresa nell’articolo di Garrigou “Natura e valore delle formule dogmatiche”contenuto in Pontificia Facoltà Teologica di Milano(ed.), Problemi e orientamenti di Teologia Dommatica, Carlo Marzorati Editore (Milano 1957), vol. I, pp. 387-408.
[18] Padre Nichols (op. cit., p. 11) ricorda termini quali: sostanza, natura, persona.
[19] È forte l’incidenza che ebbe la lettura di A. Gardeil, Le donné révélé et la théologie, J. Gabalda (Paris 1910), ma in generale l’impianto tomistico di quest’ultimo autore.
[20] A. Nichols, op. cit., p. 12.
[21] H. Bergson, L’evoluzione creatrice, Raffaello Cortina Editore (Milano 2002), p. 266.
[22] SC, p. 53.
[23] Crediamo che, in direzione analoga e derivata, si possa ugualmente evitare, sul piano teologico, la scissione tra natura e soprannatura, pur mantenendo la dovuta distinzione.
[24] SC, p. 117; tr. it. p. 30.
[25] SC, pp. 185-186.
[26] SC, p. 226.
[27] SC, p. 225.
[28] A. Nichols, op. cit., p. 16.