L'amore per la sapienza
di Giovanni Covino
In un tempo in cui le questioni ultime della vita sono, per usare un eufemismo, trascurate, e in cui si è sempre meno stupiti della inesauribile ricchezza dell’essere, parlare della filosofia come domanda radicale sul senso della totalità del reale può sembrare a molti alquanto anacronistico. In realtà il richiamo a una tale concezione risponde sia all’aspirazione del cuore, sia alla sete della ragione; e non è certo la presenza di testi che celebrano la morte della filosofia a far tacere nel cuore di ognuno le domande fondamentali della vita, “chi sono?”, “da dove vengo?”, “verso dove vado?”, insomma non è certo il pensiero debole a eliminare l’impellenza della questione forte circa il perché della nostra esistenza.
Checché ne dica il pensiero post-moderno la filosofia è tale esigenza, si nutre di tali domande, domande che non si possono evitare, pena è il venir meno alla nostra propria natura di esseri razionali e fare dell’attività filosofica stessa una semplice chiacchiera. Ma «gli uomini – come osserva Tommaso d’Aquino sulla scia di Aristotele – hanno naturalmente il desiderio di conoscere le cause di ciò che vedono; onde essi da principio cominciarono a filosofare, per la meraviglia di quei fenomeni, dei quali ignoravano le cause; trovata poi la causa si acquietavano» (Somma contro i Gentili, III, 25). Da questo testo di Tommaso vediamo dunque che filosofare altro non è che ragionare per conoscere la causa dei fenomeni che destano stupore, ma nello scoprire la causa delle cose consiste il vero sapere, se ne deduce che la filosofia è vera scienza. Ogni scienza poi è definita dal suo oggetto e, come ho già accennato, l’oggetto proprio di questo sapere è la realtà nel suo insieme, «la verità che la filosofia va cercando non è solo la verità che deriva dalla mera constatazione dei fatti. Il filosofo […] si pone il problema del senso che in essi si nasconde e che li rende intelligibili» (G. Savagnone, Theoria. Alla ricerca della filosofia, La Scuola, Brescia 1991, pag. 53). Si capisce quindi che la ricerca filosofica deve giungere a conoscere la causa di ciò che è, deve giungere cioè alla piena verità dell’esperienza.
Questa ultima affermazione ci porta ad rilevare un punto di grande importanza: l’attività filosofica non è una elucubrazione mentale, vale a dire la costruzione di un sistema senza alcun presupposto, una costruzione arbitraria insomma, ma essa parte e non può non partire dall’essere delle cose. Il riferimento all’essere è decisivo in quanto la filosofia è riflessione (un ripiegarsi sulla cosa), quindi conoscenza mediata: essa presuppone sempre una conoscenza immediata. Detto in altri termini la scienza filosofica parte dall’esperienza originaria e da qui inizia a elaborare una riflessione che possa “dar conto” della realtà, una riflessione che va sempre verificata e mai “sganciata” dalle certezze incontrovertibili dell’esperienza originaria.
Questa indagine razionale senza alcun dubbio non verrà mai meno, ci sarà sempre qualcuno che si stupirà delle cose che sono, che farà esperienza di quella antica e sempre nuova meraviglia, e cercherà di rispondere a questo stupore, aspirando sinceramente alla verità. Questa aspirazione fa della filosofia una delle attività più nobili dell’uomo, una vita dedicata alla ricerca del senso della nostra esistenza che nessun sapere tecnico potrà mai darci. Come scriveva il poeta inglese Eliot:
Anche se vi imbattete in mille vigli che dirigono il traffico, nessuno di loro vi saprà dire perché siete arrivati lì e qual è la vostra meta finale (Cori da «La Rocca», III).